Politica estera del governo Monti: un bilancio negativo

L’iperattivismo estero di Mario Monti e del suo governo tecnico ha riguardato esclusivamente la ricerca di sponde commerciali e le rassicurazioni circa la stabilità finanziaria del Paese. Sono stati trascurati molti altri aspetti della politica estera, da quello strategico-militare, alla mission, al rapporto con l’UE, fino all’influenza in determinate aree. L’ampio tour europeo, atlantico e asiatico di Monti era teso solamente a recuperare la credibilità internazionale del Paese, precipitata col triste declino del Cavaliere. I rapporti da recuperare non sono soltanto gli equilibri istituzionali coi paesi del G8 o con i BRICS, ma si tratta delle posizioni di forza ed egemonia conquistate nel corso di sessant’anni, con più o meno audaci politiche di alleanze e pressioni. Ma vediamo la situazione in cui si è insediato l’esecutivo del Professore e le scelte (non) fatte. Purtroppo la politica estera del governo Monti assomiglia sempre più alla politica estera di un paese debole, senza radicamento storico e politico a livello globale, paesi di secondo piano che rinunciano ad un ruolo internazionale. L’Italia soffriva da ormai qualche anno di un logorante isolamento politico dovuto all’imprevedibilità del premier Berlusconi ed alle sue frequenti gaffe. Nonostante ciò, vanno riconosciuti alcuni suoi risultati, come il rapporto privilegiato con la Libia del colonnello Gheddafi. Prima della guerra, la produzione italiana in Libia era in media di 280.000 barili al giorno. A quel tempo, la Libia produceva un totale di 1,6 milioni di barili al giorno, di cui 1,3 per l’export. Al World Petroleum Congress di Doha ai primi di dicembre 2011, il gruppo petrolifero ENI, che è anche il più grande produttore straniero di petrolio in Libia, annunciò che la sua produzione di greggio in quel paese era stata ripristinata a circa il 70% dei livelli pre-guerra. Per quanto concerne l’export, nel 2009 l’Italia era il primo paese fornitore della Libia gheddafiana con una quota del 17,4% delle importazioni libiche totali, prima di Cina (10%) Turchia e Germania (9%). Era anche il principale mercato di sbocco per le esportazioni libiche (20%). Prima della guerra civile si contava la presenza di un centinaio di imprese italiane, prevalentemente nel settore petrolifero e delle infrastrutture, oltre che nella meccanica. L’instabilità politica italiana ha contribuito a facilitare l’insediamento di imprese concorrenti francesi e angloamericane nel momento in cui abbiamo ‘mollato il volante’. La situazione a Tripoli resta complessa ma certamente l’Italia ha perso la golden share nel nuovo fragile stato libico. Per Mario Monti la scelta degli Esteri è ricaduta su Giulio Terzi di Sant’Agata, ma è stato un testa a testa sino all’ultimo con un altro funzionario, Giampiero Massolo. Ex Segretario generale della Farnesina, Massolo godeva di un apprezzamento bipartisan, fama di instancabile e preciso diplomatico, conoscenza di inglese, francese, russo, polacco e tedesco. Ma non se l’è sentita di fare il grande salto, ha chiesto troppe rassicurazioni sul proprio futuro. Dunque alla Farnesina c’è andato – con il sostegno di Casini e Fini – il nobile bergamasco Terzi, incarnazione dell’atlantismo ortodosso. Ha lavorato per 35 anni tra le ambasciate italiane di Parigi, Canada, Israele, Nato, Onu e Washington. Come ringraziamento per il disturbo, Massolo è stato nominato direttore del DIS (controllo servizi segreti). Non sappiamo se avrebbe fatto meglio di Terzi, ma sappiamo che diplomazia e politica estera sono cose diverse. Gli esempi di una gestione maldestra sono svariati. Nessuna evoluzione nell’estradizione di Cesare Battisti, ben più di un caso di diritto internazionale. Si sono scontrate l’influenza di Roma sul capofila dei BRICS, con la sua vasta comunità italiana, e le resistenze del Brasile che, con una sentenza ispirata politicamente da Lula e Rousseff, ha voluto cementare la sua egemonia nel continente latino-americano e la nuova veste di potenza emergente. Altro episodio emblematico è il rapimento del tecnico Franco Lamolinara assieme ad un collega inglese, avvenuto in Nigeria a marzo. Il governo di Londra autorizzò un blitz delle forze speciali britanniche che si concluse con la morte del sequestrato italiano. Roma fu informata attraverso i suoi servizi solo a cose fatte. Caso diverso, ma altamente simbolico, è quello della cittadinanza onoraria al Dalai Lama del Comune di Milano. Sembra che il console cinese abbia espresso il disappunto di Pechino alla Farnesina, che avrebbe avvertito il Comune di un possibile boicottaggio cinese all’Expo 2015. Anche in questa occasione il governo è stato succube, offrendo un segnale preoccupante sull’indipendenza delle istituzioni e sulla loro autorevolezza. Ma forse l’episodio più celebre è quello dei due marò a bordo della nave italiana Enrica Lexie, accusati dal governo indiano del Kerala di aver ucciso ingiustamente due pescatori, scambiati per pirati. Viene da chiedersi: Stati Uniti, Francia o Regno Unito avrebbero consentito per mesi la detenzione illegale dei propri militari ed un trattamento così umiliante? La risposta è no, un caso analogo ha coinvolto la Marina degli Stati Uniti, che si è ben guardata dal consegnare i propri marines all’India o agli Emirati Arabi. L’Italia langue ancora impotente fra ricorsi, avvocati e funzionari del ministero. Nelle relazioni internazionali spesso vale la regola del più forte e non il diritto. Nessuna idea sulla strategia mediterranea, fortemente sostenuta da Craxi negli anni ‘80 e recentemente lasciata alle vaghe fantasie di Sarkozy, proprio in una fase di profondi cambiamenti nel Maghreb. Nel 2013 la Croazia entrerà nell’Unione Europea, ma il governo ha azzerato i fondi per la comunità italiana dell’Istria e Dalmazia, unica minoranza autoctona al di fuori dei confini nazionali, e Monti ha dedicato una visita ad hoc a Belgrado (proprio durante la crisi nigeriana); la nuova Serbia di Nikolić, ex braccio destro del criminale di guerra Šešelj, eletta come partner privilegiato nei Balcani. In Europa si sperimentano alleanze, dal Triangolo di Weimar al Gruppo di Visegrád, dall’Unione per il Mediterraneo a quella Eurasiatica, si attivano patti intermittenti e si vivono rotture burrascose, ma l’Italia stenta a trovare un suo ruolo, non ha una vision, resta all’angolo. Nei casi citati si è lasciata umiliare da paesi emergenti, fino a qualche anno fa privi di qualsiasi potere contrattuale con un membro del G8. Non vuole essere un inno alla prepotenza occidentale od una nostalgia patriottarda del posto al sole, ma i sintomi di declino nello scacchiere internazionale sono evidenti. Il governo, in quanto tecnico, non se la sente di esprimere una linea ed ha scambiato la politica estera per diplomazia tout-court, relazioni di buon vicinato. Parte della responsabilità ricade anche sull’Unione Europea in crisi, che dovrebbe ispirare una politica estera comune nelle mani dell’Alto Rappresentante Ashton. Gli stati nazionali con i loro piccoli interessi non sono più in grado di rispondere singolarmente alle sfide globali. Se si tirano le somme della politica estera italiana in tempi tecnici, il bilancio è certamente negativo.

MATTEO PUGLIESE