Editoriale: Referendum e piccola politica

Nel villaggio globale, come è noto, la grande politica oscura la piccola politica. Il precipitare delle vicende internazionali intorno alla crisi economica indebolisce nell’attenzione il ricordo di due avvenimenti, non adeguatamente ricordati in questi mesi e legati da un filo rosso comune: il terrorismo.
Mi riferisco al rapimento ed all’assassinio di Aldo Moro, momento cruciale di tutte le riflessioni sulla democrazia italiana e sull’evoluzione della politica in questi ultimi trentacinque anni. Ed all’uccisione di Marco Biagi, di cui è appena ricorso il decennale nel 2012, mai abbastanza celebrato come discreto ed efficace costruttore di quella democrazia giusta, informata ai principi del socialismo, alla quale guardiamo con incancellabile speranza.
È da vedere se, in realtà, questa è piccola politica; senz’altro è quella più vicina alla sensibilità ed ai sentimenti popolari, e quindi più autentica. Marco Biagi rappresenta sempre più la figura del socialista democratico e riformista moderno: sobrio nell’immagine, quanto concreto e robusto nella sostanza, ancorché spesso travisato da certi esegeti parziali, presenti in special modo nel centro-destra, che trascurano la forte attenzione agli ammortizzatori sociali nel suo sistema di riforma. Attraverso la sua morte è emersa la contrapposizione fra violenza terroristica e positività riformatrice della sinistra, come forse mai era risultata evidente nel passato.
Purtroppo non possiamo escludere che, negli anni a venire, in base a quelli che saranno gli esiti della crisi della finanza e, più in generale, del capitalismo, vi siano ulteriori azioni finalizzate ad una lacerazione del tessuto democratico, anche se non così violente e traumatiche come nel passato. Ma di certo diventerà sempre più centrale di fronte all’opinione del paese il problema del lavoro, della sua riforma, della sua centralità nella cultura e nell’organizzazione di una democrazia moderna.
Lo strumento di questa evidenza della questione-lavoro può essere rappresentato dai referendum per abolire le cosiddette “riforme Fornero”, che hanno investito l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e le pensioni. È verosimile, soprattutto con riferimento al ripristino dei diritti dei lavoratori, che lo Statuto voluto dai socialisti, con cui la Costituzione entrò nelle fabbriche ed in tutti i luoghi di lavoro, possa anche segnare il punto di riferimento per schieramenti in gran parte occasionali e strumentalizzati. Basti notare la presenza di Di Pietro, mai particolarmente sensibile sulle questioni riguardanti il mondo del lavoro, nel relativo comitato promotore, senza contare i tanti esempi di conversione, in questi oltre quarant’anni, degli eredi di quel Pci che non votò in Parlamento la legge 300 del 20 maggio 1970. Ma il sostegno, almeno alla campagna di raccolta firme per i quesiti referendari che si propongono di archiviare l’iniqua – perché poco concertata – politica sociale del governo Monti in tema di pensioni e lavoro, può rappresentare l’occasione per trasformare degli argomenti, affrontati prevalentemente da tecnici e professionisti, in temi di grande portata popolare che dovranno essere spiegati ai cittadini e sui quali si dovrà raccogliere partecipazione e consenso. Per un riformista, considerare l’ipotesi del sostegno alla raccolta delle firme per i due referendum, può comportare una preziosa occasione per aprire una discussione pubblica e spiegare quale riforma del lavoro e delle pensioni si deve realizzare; perché la nostra democrazia riveda, con più scrupolo e con piena partecipazione del sindacato, quello Statuto dei lavoratori che, insieme alla riforma previdenziale di Giacomo Brodolini, è stato per decenni il punto di riferimento della sinistra riformista italiana. Naturalmente, tutto questo vuol dire anche rimettere in discussione modi e presenze del sindacato nella società, per ridefinirne i ruoli, rinnovarne la capacità di rappresentanza, rafforzarne il consenso, facendolo diventare protagonista di quella partecipazione che rappresenta il nuovo modo di far vivere attivamente il mondo del lavoro.
Serve che i socialisti siano ancora una volta portatori di una volontà di riformismo attivo. La violenza del liberismo o il disinteresse dei tecnocrati verso le esigenze di una civile società non possono distogliere la politica da quello che deve essere il suo lavoro quotidiano: lasciare sempre aperto il cantiere della democrazia.

ANTONIO MATASSO