Regione Lazio: perché votare subito

Come ormai noto a tutti, la Regione Lazio è priva, dallo scorso 28 settembre, di organi politici legittimati a governare. Essi operano in quell’interregno che gli studiosi del diritto costituzionale chiamano “prorogatio”, per significare l’intervallo di tempo tra la scadenza di un organo ed il suo rinnovo, in cui è necessario assicurare continuità istituzionale e quindi vengono riconosciuti agli organi scaduti alcuni limitati poteri, soprattutto di ordinaria amministrazione, sino all’insediamento dei nuovi a seguito della consultazione popolare.
Tradotto in termini più immediati, Giunta (dimissionata dal Presidente Polverini) e Consiglio regionale (“polverizzato” dallo squallido scandalo dei fondi PDL) restano in carica sino alle prossime elezioni per gli atti urgenti e indifferibili.
Ma quanto può durare questa prorogatio?
Per rispondere è necessario, anzitutto, considerare le norme.
La legge elettorale regionale del Lazio (n. 2 del 2005) prevede che, in caso di interruzione anticipata della legislatura, i comizi elettorali vengano convocati dal Presidente uscente entro 3 mesi, senza specificare se si debba trattare di mera individuazione della data oppure di vero e proprio svolgimento delle elezioni. Sul punto si è aperto in questi giorni uno stucchevole dibattito tra l’ex vertice della Regione Lazio – sprofondata sullo scandalo della sua maggioranza – e il Ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, che si è espressa sin da subito per una interpretazione della legge in termini di buon senso, suggerendo, cioè, di andare al voto prima possibile per restituire ai cittadini del Lazio istituzioni pienamente legittimate e in grado di far ripartire l’azione amministrativa. A questa impostazione si è contrapposta quella dell’establishment vicino all’ex Presidente Polverini che, forse per ragioni insite nella volontà di tergiversare in attesa di uno scenario più favorevole al centrodestra, pare intenzionata a leggere la norma “alla lettera”, avvalendosi, così, di tutti i 90 giorni a disposizione per fissare la data delle elezioni.
La principale giustificazione addotta fa riferimento al contenimento della spesa pubblica e quindi all’opportunità di abbinare tutte le elezioni in un’unica data, il c.d. election day, probabilmente nel mese di aprile 2013.
Se così fosse, i cittadini del Lazio potrebbero trovarsi dinanzi ad una situazione davvero singolare: votare, insieme alle elezioni parlamentari, anche per il rinnovo delle istituzioni regionali, con tutte le conseguenze sul piano della procedura elettorale facilmente intuibili. Votare nello stesso giorno per il Consiglio regionale, potendo esprimere una preferenza, e per eleggere deputati e senatori rischierebbe di ingenerare confusione nell’elettorato, con il risultato di diluire il significato cruciale delle elezioni nazionali in una disputa locale, anche se di rilevanti dimensioni. In più se, come appare probabile, la riforma del porcellum dovesse reintrodurre il voto di preferenza anche a livello parlamentare, l’elettore riceverebbe due schede, con possibilità di esprimere preferenze, nell’ambito di due sistemi elettorali profondamente diversi. E la campagna elettorale sarebbe contestualmente condotta sul doppio livello, regionale e nazionale. Inoltre, nei Comuni in cui è previsto il rinnovo delle amministrazioni (su tutti, Roma Capitale), le schede potrebbero diventare 3, o addirittura 4 (a Roma infatti si voterà anche per i municipi di decentramento).
Siamo sicuri che tutto ciò favorisca una chiara, libera ed efficace articolazione del processo democratico? Si possono avanzare molti dubbi, perché l’obiettivo principale di ogni elezione dovrebbe consistere nella scelta di una rappresentanza e, nel caso di formule maggioritarie, anche di un governo. Ma gli elettori devono essere messi in condizione di operare scelte consapevoli, soprattutto in un momento di forte centrifugazione in favore di soggetti populistici e dalla carica antisistemica, ed in presenza di un contesto di multipartitismo estremo polarizzato, per utilizzare definizioni care al politologo francese Maurice Duverger e all’italiano Giovanni Sartori.
Inoltre, il 10 ottobre è stato emanato il decreto legge (n. 174) sui c.d.“costi della politica regionale”, che impone alle Regioni la riduzione della spesa degli organi di governo entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, salvo il caso di Regioni soggette a imminenti consultazioni elettorali (rectius, il Lazio, e forse la Lombardia), per le quali i 6 mesi decorreranno dalla prima riunione del nuovo Consiglio regionale, salvo che per la diminuzione di consiglieri e assessori, che troverà automatica applicazione anche in assenza di un intervento regionale di adeguamento dello Statuto. Alla luce di tale impianto normativo, il prossimo Consiglio regionale del Lazio sarà composto da 50 membri più il Presidente, e gli assessori non potranno essere più di 10.
Tale ragione induce a ritenere ragionevole un’individuazione tempestiva della data per lo svolgimento delle elezioni, così da consentire ai nuovi organi, legittimati, l’introduzione delle misure di risparmio della spesa richieste dal Governo, che implicheranno profonde revisioni all’assetto istituzionale e normativo dell’ente.
A queste argomentazioni di carattere tecnico se ne possono aggiungere altre dalla valenza più politica. Tenere in vita istituzioni regionali, vulnerate da beceri e grossolani scandali nella loro immagine ed operatività dinanzi all’opinione pubblica, non contribuisce a restituire ai cittadini quella fiducia verso i soggetti politici necessaria per una virtuosa articolazione delle procedure democratiche.
L’impressione, purtroppo, è che, invece, si vogliano utilizzare cavilli normativi per ritardare un voto indifferibile, soltanto per ragioni di mero calcolo particolaristico che speravamo di aver debellato, ma che, evidentemente, costituiscono ancora l’asse portante di questa nostra infausta seconda Repubblica, e non solo a livello locale.

VINCENZO IACOVISSI