Editoriale: Una politica laica, per credenti e non credenti

Nel suo celeberrimo pamphlet intitolato “La predica di Natale”, il socialista Camillo Prampolini affermava, riportando il contenuto di un suo comizio del 1897, in coincidenza con l’importantissima festa cristiana: «Lavoratori! Ancora una volta voi avete festeggiata nelle vostre case e nella vostra chiesa la nascita di Gesù Cristo. Ma interrogate la vostra coscienza: siete ben sicuri di meritare il nome di cristiani? siete ben sicuri di seguire i principii santi predicati da Cristo e pei quali egli morì?». Sono passati tanti anni da quell’accorato interrogativo, perfettamente socialista e cristiano ad un tempo. Erano gli anni della contrapposizione frontale tra il clericalismo ed i fautori del principio di laicità, esso stesso di origine cristiana. Da allora ad oggi, rispetto alla tradizione divisione tra “laici” e cristiani, non c’è stata in Italia nessuna significativa svolta nel modo di leggere la politica, quasi che nel nostro paese vi siano due categorie irriducibilmente contrapposte. Dimenticando che in Europa, ad esempio, le formazioni politiche socialiste, socialdemocratiche e laburiste sono partiti laici di credenti e non credenti. Probabilmente molto è dipeso dal fatto che lo strappo del principale partito della sinistra italiana dalla fede e dall’altra “chiesa”, quella comunista, è stato fin troppo tardivo, per quanto netto e doloroso, favorendo così una lettura come quella or ora descritta. Nella lunga e aspra contesa che per tutto il Novecento ha opposto comunisti e socialdemocratici nel Vecchio Continente, la storia ha dato ragione alle ragioni di questi ultimi, al loro riformismo, alla loro riuscita, anche se non ancora conclusa, riforma del capitalismo, attraverso il compromesso tra economia di mercato organizzata (ma non diretta dall’alto) e solidarietà sociale, attraverso il welfare come alternativa realistica ai disastri dell’economia pianificata. L’adesione all’Internazionale Socialista ed al Partito del Socialismo Europeo poteva rappresentare per gli ex comunisti italiani una via d’uscita non provinciale dalla contesa tra i reduci del Pci ed i socialisti italiani. Una contesa viziata, fin dalle origini, proprio dall’anomalia, anzi dalla situazione – unica in Europa – di schiacciante prevalenza della componente comunista su quella socialista. Un’anomalia che ne ha generato specularmente un’altra: quella rappresentata dall’unità politica dei cattolici nel partito della Democrazia Cristiana e dalla conseguente difficoltà di rapporto tra la sinistra e il vasto mondo cristiano italiano. L’esatto contrario di quanto capitava più o meno in tutto il resto d’Europa, con le solide radici religiose e cristiane del laburismo inglese e di molti socialismi nordici; oppure con la fusione francese ad Épinay tra sinistre socialiste, repubblicane, cristiane (Jacques Delors in testa); con la significativa presenza di leader cristiani – da Pasqual Maragall ad António Guterres – nei nuovi partiti socialisti delle rinate democrazie iberiche. La caduta del Muro ed il parallelo dissolversi dell’unità politica dei cattolici, nel contesto del nascente (pessimo) bipolarismo, avevano aperto all’Italia la concreta possibilità di dotarsi di un sistema politico, oltre che istituzionale, di stampo europeo. Occasione ormai sprecata in questi vent’anni di dimenticabile “Seconda Repubblica”. In tutto ciò, la perdurante tendenza a descrivere il paese secondo l’idea che da una parte vi sono i cristiani, nessuno dei quali laico, e dall’altra i laici, nessuno dei quali cristiano, ha determinato una sorta di bipolarismo nel bipolarismo, non meno deleterio di quello che aveva al centro Berlusconi e l’antiberlusconismo. Il combinato disposto di queste dure contrapposizioni ha rischiato di produrre, oltre a tante degenerazioni di cui già paghiamo il fio, una lacerazione tra le ragioni della modernità e quelle dell’uguaglianza e della solidarietà, tra la radicalità dei principi e l’equilibrio dei mezzi. In questo senso, la decisione della gerarchia cattolica romana di benedire la “salita” in politica di Mario Monti, rischia di essere controproducente, a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II ed a quasi venti dalla fine dell’unità politica dei cattolici italiani, per un centro politico – non più solo cattolico – che non voglia ridursi ad occupare una nicchia del mercato elettorale. Un segno niente affatto positivo da Oltretevere, che può essere rovesciato solo da una nuova, grande e forte, iniziativa per una nuova laicità in politica, un campo in cui il bene comune riguarda credenti e non credenti, essendo etimologicamente legato alla parola λαός (“laòs”, vale a dire popolo, comunità), da cui deriva “laico”. Questo è il compito che spetta ai socialisti per il 2013 e nella costruzione della “Terza Repubblica”: un compito per il quale il nostro impegno deve cominciare da subito e che investe soprattutto chi, come chi scrive, è socialista e cristiano come Prampolini. Buone feste da “Giovane Sinistra”.

ANTONIO MATASSO